martedì 15 maggio 2012

Il signore dei colori: il booktrailer e l'intervista a Roberto La Forgia

Abbiamo chiesto a Roberto La Forgia di parlarci del suo graphic novel d'esordio, Il signore dei colori, che nei prossimi giorni sarà in tour per presentazioni in moltissime librerie d'Italia. Per un programma completo e dettagliato potete consultare il post On Air, On Tour sul blog dell'autore sacchettidipatatine.blogspot.it.
Qui sotto il booktrailer del libro:


Ecco l'intervista
  • Che tipo di storia è Il signore dei colori? Si può parlare di un graphic novel di formazione?
Ne Il signore dei colori metto in scena un paradosso: il rapporto tra un adulto e un bambino dove la forte intesa che viene a crearsi è silenziosamente minacciata dalla pedofilia dell'adulto ma non scombina questa intesa. Paolo, il protagonista del libro, è un bambino di sette anni alla ricerca di una figura paterna che non ha mai avuto e di un calore che la madre da sola non riesce a offrirgli. L'adulto, un venditore di fumetti, e il bambino colmano i propri vuoti dedicandosi l'uno all'altro, ascoltandosi e conoscendosi. Non penso si possa parlare di racconto di formazione. Il bambino non è ancora pienamente consapevole di quello che sta accadendo e della profondità sinistra dell'adulto che incontra. In fondo è proprio la sua ingenuità a salvarlo.
  •  Lo stile grafico è semplice, quasi infantile, a fronte di tematiche tutt'altro che ingenue e per un pubblico di bambini. Cosa mi racconti a proposito di questa scelta?
Ho un background di riferimenti visivi molto ampio ma il mio linguaggio l'ho costruito essenzialmente sotto l'influenza delle avanguardie storiche: il futurismo italiano e russo, la nuova oggettività tedesca e il cubismo... Queste influenze mi hanno portato a una sintesi geometrizzante delle forme. Disegno da quando sono nato. Un taglio apparentemente infantile nasconde anni di ricerca. Ne Il signore dei colori il disegno è molto leggero, come la narrazione in fondo. Sebbene tratti argomenti che generalmente non conoscono altri toni fuorché quelli più gravi e drammatici, i ragazzini del mio libro scherzano, ridono e bisticciano tra loro nonostante abbiano un'idea seppur vaga di vivere un dramma. È la vita tra l'infanzia e l'adolescenza: fresca, turbolenta e menefreghista. Se avessi usato uno stile cupo, sarei scaduto in una sorta di noiosa e volgare pornografia dei sentimenti, in una banalizzazione del concetto di "profondità".

  • Parlami del rapporto tra adulti e bambini. In Patatine (la storia comparsa nell'antologia "Gli Intrusi") i “grandi” non ci fanno una gran bella figura ma nel Signore dei colori questo rapporto assume sfumature molto più complesse.
In Patatine gli adulti avevano il solo scopo di aprire pretesti per raccontare episodi della vita dei personaggi principali - ragazzi tra i 7 e i 10 anni. Per marcare il loro spavaldo senso di autonomia ho tagliato fuori genitori o figure indirettamente materne o paterne. Ne Il signore dei colori invece la scena è abitata da personaggi di età diverse e molti adulti giocano ruoli fondamentali. Inoltre avevo bisogno di un contrappunto che amplificasse il disorientamento sessuale dei ragazzini in confronto appunto alla sicurezza (più o meno fondata) che si acquista in età più matura.

  • Ho avuto l'impressione che nel Signore dei colori tu costruisca un piano parallelo rispetto a quello della narrazione, un piano del non detto. Penso ad esempio alle sequenze di nuvole, alle pagine quasi vuote, alla sequenza della luna che cala. Ma anche all'alternanza notte e giorno (“Certe cose accadono di notte”) al gioco che fa Paolino di accendere e spegnere la luce...
Questo libro ha avuto una lavorazione lunga più di tre anni. Ho voluto parlare di pedofilia con cautela e lucidità, con rispetto per le vittime di abusi e per i responsabili di questi abusi. Non è stato facile. Quando sento parlare di abuso sui minori sui giornali, in tv e sulla rete, i contributi generalmente sono due: la cronaca raccapricciante dell'abuso o - soprattutto in rete - l'invito al linciaggio. Ho pensato che queste sono forme di violenza e che la demonizzazione faccia del male soprattutto alle vittime. Non è facile sentirsi dire che sei stato aggredito da un "mostro", o che quell'uomo che ti ha toccato "non è un essere umano". Dobbiamo stare attenti alle parole che usiamo e io nel mio libro le ho pesate tutte.

  • Quali sono i tuoi riferimenti, letterari e visivi? E' sicuramente un libro visivamente pop. Eppure mi è sembrato di incappare, per esempio, in vedute di paesaggi che sembrano quasi strizzare l'occhio all'arte fauvista.
Come ho già detto ho un forte debito verso le avanguardie storiche ma il disegno de Il signore dei colori ha riferimenti più recenti. L'illustrazione pubblicitaria per bambini tra gli anni sessanta e settanta mi ha sempre molto colpito. In Italia, in Francia e negli Stati Uniti sono state fatte grandi cose. Per quanto riguarda invece l'impaginazione del libro e l'impostazione della tavola penso che qualcuno potrebbe sentire l'eco di certa grafica delle vecchie avanguardie. Non penso all'arte fauvista ma correnti più "geometriche".

  • Come mai la scelta della bicromia?
Un po' certamente per affezione. Mi piace la povertà e lavorare con pochi elementi. Cercare soluzioni e combinazioni con un arancio, un nero, un retino grigio e il biancastro della carta è stato divertente. Per le tavole originali ho scelto una carta molto ruvida pressoché inadatta per un disegno lineare come il mio. Può sembrare una scelta azzardata ma l'imprecisione della carta ha innescato in me quel piglio geometrizzante che mi tiene lucido, attento e mi sollecita l'inventiva. Se avessi lavorato su una carta liscia, bianca e pulita mi sarei annoiato. Tornado sulla bicromia, devo dire che non si è trattato proprio di una scelta. Penso di aver preso delle scelte sulla narrazione, sulla forza delle scene, scelte che in corso d'opera ho riveduto tante volte. Non ho mai cestinato tavole per debolezza del colore o del disegno. Ho scartato tavole per la debolezza delle scene o perché le ho ritenute superflue. La bicromia e tanti aspetti tecnici di questo libro sono con me già da tempo, sono il mio linguaggio, mi è venuto naturale usare la bicromia ma non è detto nel prossimo libro non allarghi la mia tavolozza.

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